Ricorso ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e  difeso  ex  lege
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  C.F.  80224030587,  n.  fax
0696514000  ed  indirizzo  p.e.c.  per  il  ricevimento  degli   atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici in Roma  - via
dei Portoghesi n. 12 - e' domiciliato per legge. 
    Contro la Regione Puglia, in persona del Presidente della  giunta
regionale  in  carica  per   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale degli articoli l, 2 e  3  della  legge  della  Regione
Puglia  n.  38  del  30  novembre  2021,  pubblicata  nel  Bollettino
Ufficiale della Regione Puglia n. 150 del 3  dicembre  2021,  recante
«Modifiche alla  legge  regionale  30  luglio  2009,  n.  14  (Misure
straordinarie e urgenti a sostegno dell'attivita' edilizia e  per  il
miglioramento della qualita' del patrimonio edilizio residenziale)  e
alla  legge  regionale  15  novembre  2007,  n.  33   (Recupero   dei
sottotetti,  dei  porticati,  di  locali  seminterrati  e  interventi
esistenti e di aree pubbliche non autorizzate)», per violazione degli
articoli 3, 9, 97 e 117, primo e secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, rispetto ai quali  costituiscono  norme  interposte  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e gli articoli 4, 20, 21, 135, 143 e 145  del  Codice  dei
beni culturali  e  del  paesaggio,  dell'art.  117,  comma  3,  della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150  del  1942,  come  attuato  mediante  il  decreto
ministeriale n. 1444 del 1968, dall'art. 2-bis e 14 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e dall'art. 5, comma  11,
del  decreto-legge  n.  70  del  2011  e  del  principio   di   leale
collaborazione e cio'  a  seguito  ed  in  forza  della  delibera  di
impugnativa assunta dal Consiglio dei ministri nella  seduta  del  31
gennaio 2022. 
 
                                Fatto 
 
    La legge della Regione Puglia n. 38 del 2021 dispone le  proroghe
dei termini indicate a) al comma 1 dell'art. 5 e al comma 1 dell'art.
7  della  legge  regionale  n.  14  del  2009,   riguardante   misure
straordinarie e urgenti a sostegno dell'attivita' edilizia e  per  il
miglioramento della qualita' del patrimonio edilizio residenziale,  e
b) al comma 3 dell'art. 1 e  al  comma  1  dell'art.  4  della  legge
regionale n. 33 del 2007, riguardante il recupero dei sottotetti, dei
porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti  e  di  aree
pubbliche non autorizzate. 
    In particolare, il «CAPO I»  della legge in esame  e'  intitolato
«Modifiche alla  legge  regionale  30  luglio  2009,  n.  14  (Misure
straordinarie e urgenti a sostegno dell'attivita' edilizia e  per  il
miglioramento della qualita' del  patrimonio  edilizio  residenziale»
(il piano casa pugliese) e contiene due articoli. 
    L'art. 1, intitolato «Modifica all'art. 5 della  legge  regionale
n. 14/2009» dispone: 
        «1. Al comma 1 dell'art. 5 della legge  regionale  30  luglio
2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell'attivita'
edilizia  e  per  il  miglioramento  della  qualita'  del  patrimonio
edilizio residenziale) sostituire le parole: "1° agosto 2020" con  le
seguenti: "1° agosto 2021"». 
    L'art. 2, intitolato «Modifica all'art. 7 della  legge  regionale
n. 14/2009» dispone: 
        «1. Al comma 1 dell'art. 7 della legge regionale  n.  14/2009
sostituire le  parole:  "31  dicembre  2021"  con  le  seguenti:  "31
dicembre 2022". 
    Il "CAPO II",  intitolato  "Modifiche  alla  legge  regionale  15
novembre 2007, n. 33 (Recupero  dei  sottotetti,  dei  porticati,  di
locali seminterrati e interventi esistenti e di  aree  pubbliche  non
autorizzate)" contiene l'art. 3,  intitolato  "Modifiche  alla  legge
regionale n. 33/2007" che dispone «Alla legge regionale  15  novembre
2007,  n.  33  (Recupero  sottotetti,  dei  porticati,   dei   locali
seminterrati  e  interventi  esistenti  e  di  aree   pubbliche   non
autorizzate) sono apportate le seguenti modifiche: 
        a) alla lettera a) del comma  3  dell'art.  1  sostituire  le
parole: "30 giugno 2020" con le seguenti: "30 giugno 2021"; 
        b) al comma 1 dell'art. 4 sostituire le  parole:  "30  giugno
2020" con le seguenti: "30 giugno 2021".» 
    Le suddette proroghe eccedono dalle competenze regionali  per  le
ragioni di seguito indicate. 
    Pertanto, la  legge  regionale  suddetta,  giusta  determinazione
assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 31 gennaio  2022,
e' impugnata per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
1. Illegittimita' costituzionale degli articoli 1  e  2  della  legge
Regione Puglia n.  38  del  2021  intitolata  «Modifiche  alla  legge
regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure  straordinarie  e  urgenti  a
sostegno  dell'attivita'  edilizia  e  per  il  miglioramento   della
qualita' del patrimonio edilizio residenziale) per  violazione  degli
articoli  9  e  117,  primo  e  secondo  comma,  lettera  s),   della
Costituzione, rispetto ai quali  costituiscono  norme  interposte  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e gli  articoli  135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio,   dell'art.   117,   comma   3,   della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150  del  1942,  come  attuato  mediante  il  decreto
ministeriale n. 1444  del  1968,  dall'art.  2-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e dall'art. 5, comma  11,
del  decreto-legge  n.  70  del  2011  e  del  principio   di   leale
collaborazione. 
    L'art. 1 della legge regionale  in  esame  modifica  il  comma  1
dell'art. 5 della legge regionale  n.  14  del  2009,  estendendo  il
termine ivi previsto (1° agosto 2020) al 1° agosto 2021. Per  effetto
della novella, gli interventi previsti dagli articoli  3  e  4  della
medesima legge possono essere ora realizzati  su  immobili  esistenti
alla data del 1º agosto 2021. 
    L'art. 2, invece, modifica il comma 1  dell'art.  7  della  legge
regionale del 2009, estendendo il termine ivi previsto  (31  dicembre
2021) fino al 31 dicembre 2022. Per effetto della novella, si proroga
l'applicabilita' del piano casa di un ulteriore anno, consentendo  di
presentare le relative istanze di  realizzabilita'  degli  interventi
fino a tutto il 2022. 
    In via preliminare, si deve rilevare che, la legge sul piano casa
del 2009, ai sensi del comma 2 dell'art. 1, «disciplina  l'esecuzione
di interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione,  anche
in deroga agli indici e  parametri  prescritti  dalla  pianificazione
urbanistica locale, secondo le modalita' e nei limiti previsti  dalle
norme seguenti». Inoltre, la Regione Puglia,  previa  intesa  con  lo
Stato a co-pianificare l'intero territorio regionale, ha approvato ai
sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni  culturali  e  del
paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, con delibera
n. 176 del 16 febbraio 2015, il  piano  paesaggistico  regionale.  In
tale delibera si da' atto che «L'Accordo fra la Regione Puglia  e  il
Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo ai sensi
dell'art. 143, comma 2 del codice, e' stato sottoscritto il giorno 16
gennaio 2015; esso stabilisce i presupposti, le modalita' ed i  tempi
per la revisione del piano, con particolare riferimento all'eventuale
sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e
141 o di integrazioni disposte ai sensi dell'art. 141-bis».  L'intesa
tra Stato e Regione riguarda non solo  l'elaborazione  congiunta  del
piano, ma anche l'impegno ad intervenire congiuntamente, pro  futuro,
sul piano stesso non potendo essere introdotte dalle  parti,  in  via
unilaterale, modifiche o integrazioni. 
    Proprio di recente codesta ecc.ma Corte ha  evidenziato  come  le
previsioni del  Codice  «che  sanciscono  l'impronta  unitaria  e  la
prevalenza della pianificazione paesaggistica ... orientano non  solo
l'elaborazione del piano, ma anche le successive fasi di  adeguamento
e di revisione, in una prospettiva  di  piu'  efficace  garanzia  dei
valori protetti dall'art. 9 della Costituzione e di  uniforme  tutela
sul territorio nazionale» (cfr. sentenza n. 257 del 2021). 
    Cio' premesso, con la legge regionale in esame, a piu'  di  dieci
anni dall'emanazione della legge regionale pugliese sul  piano  casa,
la regione  interviene  ora  con  le  norme  richiamate  al  fine  di
prorogare la portata di misure straordinarie per un  ulteriore  anno,
estendendone inoltre l'applicabilita' anche a edifici di recentissima
costruzione. Il legislatore regionale consente  a  priori  interventi
edilizi  di  ampliamento  volumetrico  in   deroga   agli   strumenti
urbanistici pur in  assenza  delle  finalita'  sociali  e  ambientali
perseguite dalle norme statali assentendo premialita' gratuita e fine
a se' stessa. Anche di recente, peraltro, il  giudice  amministrativo
ha sottolineato «l'indole eccezionale» dei benefici  discendenti  dal
c.d. «piano casa» (cfr. Cons. Stato, ordinanza 942 del 2021). 
    Seppure la normativa statale sul piano  casa,  e  la  conseguente
Intesa del 2009,  non  siano  state  abrogate  non  appare  possibile
invocarne, visto l' indubbio carattere straordinario ed  eccezionale,
la loro operabilita', percio'  stessa  limitata  nel  tempo  per  sua
natura, come evidenziato anche dalla giurisprudenza in materia. 
    L'efficacia limitata nel tempo delle  disposizioni  non  richiede
infatti una abrogazione delle stesse, che sarebbe inutile proprio  in
ragione dello scadere degli effetti. Detta abrogazione invece  appare
necessaria  proprio  per  le  norme  ad  efficacia  persistente,  che
altrimenti continuerebbero a produrre effetti pro futuro, in  assenza
di successive disposizioni abrogative. 
    Il Codice dei beni culturali e del paesaggio pone l'obbligo della
co-pianificazione per i soli  beni  paesaggisticamente  tutelati:  la
Regione Puglia ha scelto  di  copianificare  con  lo  Stato  l'intero
territorio regionale, il cui paesaggio complessivo rischia di  essere
stravolto a seguito della ulteriore applicabilita'  del  piano  casa,
prorogata ancora una volta dalla regione. 
    Nemmeno la recente abrogazione della lettera c-bis  del  comma  2
dell'art. 6 citato, ad  opera  dell'art.  1,  comma  1,  della  legge
regionale n. 3 del 2021  (disposizione  oggetto  di  rimessione  alla
Corte costituzionale da parte del Consiglio di Stato - cfr.  sentenza
n. 3820  del  2021 -  e  la  cui  abrogazione  e'  stata  oggetto  di
interlocuzione tra la regione e il Governo in sede della proroga  del
piano casa pugliese disposta nel 2020), e' sufficiente a sterilizzare
le censure di incostituzionalita'  delle  ulteriori  disposizioni  di
proroga. 
    La predetta norma, contenuta nella lettera c-bis,  consentiva  ai
comuni  di   derogare   addirittura   alle   previsioni   del   piano
paesaggistico. In ogni caso, anche dopo l'abrogazione  della  lettera
c-bis del comma  2  dell'art.  6  della  legge  regionale  del  2009,
l'estensione  della  disciplina  del   piano   casa,   disposta   dal
legislatore pugliese, viola gli articoli 135, 143 e 145  del  Codice,
in  quanto  risulta  compromessa  quella  «impronta  unitaria   della
pianificazione paesaggistica»,  assunta  dalla  normativa  statale  a
«valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in
quanto espressione di un intervento teso a stabilire una  metodologia
uniforme [...] sull'intero territorio nazionale», idonea  a  superare
«la pluralita' degli interventi delle amministrazioni  locali»  (cfr.
Cons. Stato, n. 3820 del 2021 cit., che richiama  le  sentenze  della
Corte costituzionale nn. 182 del 2006 e 11 del 2016). 
    La Regione Puglia, previa intesa con lo  Stato  a  co-pianificare
l'intero territorio regionale, ha approvato ai sensi  degli  articoli
135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,  di  cui  al
decreto legislativo n. 42 del  2004,  con  delibera  n.  176  del  16
febbraio 2015, il piano paesaggistico regionale. In tale delibera  si
da' atto che «L'Accordo fra la Regione Puglia e il Ministero dei beni
e delle attivita' culturali e del turismo  ai  sensi  dell'art.  143,
comma 2 del Codice, e' stato sottoscritto il giorno 16 gennaio  2015;
esso stabilisce i  presupposti,  le  modalita'  ed  i  tempi  per  la
revisione  del  piano,  con  particolare  riferimento   all'eventuale
sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e
141 o di integrazioni disposte ai sensi dell'art. 141-bis». 
    L'intesa tra Stato e regione riguarda quindi, com'e'  ovvio,  non
solo l'elaborazione  congiunta  del  piano,  ma  anche  l'impegno  ad
intervenire congiuntamente, pro futuro, sul piano stesso, non potendo
essere introdotte  dalle  parti,  in  via  unilaterale,  modifiche  o
integrazioni. Di recente codesta ecc.ma Corte ha evidenziato come  le
previsioni del  Codice  «che  sanciscono  l'impronta  unitaria  e  la
prevalenza della pianificazione paesaggistica ... orientano non  solo
l'elaborazione del piano, ma anche le successive fasi di  adeguamento
e di revisione, in una prospettiva  di  piu'  efficace  garanzia  dei
valori protetti dall'art. 9 della Costituzione e di  uniforme  tutela
sul territorio nazionale» (cfr. sentenza n. 257 del 2021). 
    Occorre invece evidenziare che la Regione Puglia, contestualmente
alle norme che qui si contestano, ha approvato la legge regionale  n.
39 del 2021, con la quale ha introdotto  nell'ordinamento  regionale,
in via unilaterale e successivamente all'abrogazione della richiamata
lettera c-bis del comma 2 dell'art. 6 della legge  n.  14  del  2009,
frutto di accordo con il  Governo,  di  cui  al  paragrafo  1.4,  una
disposizione volta ad assentire le  demo-ricostruzioni  previste  dal
piano casa in aree paesaggisticamente vincolate in  deroga  alle  NTA
del PPTR  del  2015,  oltre  che  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380  del  2001.  Si  tratta  dell'art.  3  della  legge
regionale n. 39 del 2021, rubricato «Interventi in  aree  individuate
dal PPTR», con il quale viene ampliata la categoria degli  interventi
di ristrutturazione edilizia, attraendo gli  interventi  straordinari
di demo-ricostruzione del piano casa in aree vincolate  con  modifica
di sagoma, sedime, prospetti e  aumenti  di  volumi  diversamente  da
quanto stabilito dal  legislatore  statale -  nelle  ristrutturazioni
edilizie, cosi' da non incorrere nel  divieto  di  nuove  costruzioni
previsto dalle NTA del PTPR in dette aree (cfr. articoli 63, 64, 65 e
66 NTA). 
    Detta  disposizione,  che  intende  consentire   gli   interventi
straordinari  previsti   dal   piano   casa   pugliese   (accogliendo
un'interpretazione restrittiva della clausola di salvaguardia di  cui
all'art. 3,  comma  1,  lettera  d),  del  TUE,  come  illustrato  al
paragrafo 2.1), subordinandoli alla sola deliberazione del  consiglio
comunale, in aree individuate dal  Piano  paesaggistico  territoriale
regionale (PPTR), pur ponendo come condizione che  «l'intervento  sia
conforme alle  prescrizioni,  indirizzi,  misure  di  salvaguardia  e
direttive dello  stesso  PPTR  e  che  siano  acquisiti  nulla  osta,
comunque denominati, delle  amministrazioni  competenti  alla  tutela
paesaggistica», non fa che confermare, in una lettura sistematica con
le  qui  in  norme  in  esame,   cui   e'   strettamente   collegata,
l'ampliamento della portata del piano  casa  oggetto  della  presente
impugnativa. Con tale disposizione, la Regione Puglia consente ancora
una volta ai comuni  di  applicare  il  piano  casa  in  deroga  alle
prescrizioni del piano paesaggistico regionale, nonostante l'avvenuta
abrogazione   della   precedente   disposizione    costituzionalmente
illegittima, contenuta nell'art. 6, comma  2,  lettera  c-bis)  della
legge regionale n. 14 del 2009, disposizione abrogata  dalla  Regione
Puglia con la legge regionale  n.  21  del  2003  a  seguito  di  uno
specifico impegno assunto nei confronti del  Governo  dal  Presidente
del Consiglio regionale della Puglia  con  nota  prot.  3725  del  25
febbraio 2021 in sede di interlocuzione sulla legge regionale  n.  35
del 2020. 
    Con la sentenza n. 3820 del 2021 il Consiglio di Stato ha infatti
promosso giudizio  incidentale  innanzi  alla  Corte  costituzionale,
sospettando di incostituzionalita' la disposizione regionale  di  cui
alla richiamata lettera c-bis),  in  quanto  la  stessa  consente  ai
comuni  di  incidere  sui   presupposti   per   il   rilascio   della
autorizzazione paesaggistica, in deroga  alle  previsioni  di  tutela
stabilite dal Codice e dal piano  paesaggistico,  e  cio'  nonostante
l'intervenuta abrogazione della norma, la  quale  trova  applicazione
per le fattispecie sorte mentre era in vigore. In tale  occasione  il
Collegio ha richiamato i principi  in  materia,  affermando  che  «a)
secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale,  la
tutela del paesaggio costituisce competenza riservata  alla  potesta'
legislativa esclusiva statale e limite inderogabile  alla  disciplina
che le regioni possono dettare nelle materie di loro  competenza;  b)
il Codice definisce - con efficacia vincolante  per  tutti  gli  enti
territoriali (sia le regioni, sia gli enti locali minori) e anche per
gli enti pubblici operanti secondo specifiche normative di settore  -
i  rapporti  tra  le  prescrizioni  del  piano  paesaggistico  e   le
prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio, secondo un modello
di prevalenza delle prime, non  alterabile  nemmeno  ad  opera  della
legislazione regionale; c) la summenzionata  previsione  della  legge
regionale n. 14 del 2009, nella parte in cui prevedeva - prima  della
sua  espressa  abrogazione  e  ratione  temporis  ancora  applicabile
all'istanza edilizia all'esame - la derogabilita' delle  prescrizioni
dei piani paesaggistici e in  particolare  di  quelle  contenute  nel
P.P.T.R. della Puglia, appare porsi  in  contrasto  con  l'art.  145,
comma 3, del Codice, quale norma interposta in  riferimento  all'art.
117, comma 2, lettera s), della Costituzione, suscitando il  relativo
dubbio di legittimita' costituzionale». 
    La Regione Puglia, nonostante l'impegno assunto  con  il  Governo
sopra richiamato, e nelle more  della  decisione  della  Corte  sulla
questione sollevata dal Consiglio di Stato, introduce ora  un'analoga
disposizione, al fine  di  consentire  ai  comuni  di  assentire  gli
interventi previsti dal piano casa  anche  nelle  aree  sottoposte  a
tutela  paesaggistica,  in   deroga   alle   previsioni   del   piano
paesaggistico. 
    Non vale a negare tale profilo di incostituzionalita' la clausola
di conformita' dell'intervento alle prescrizioni,  indirizzi,  misure
di salvaguardia e direttive dello  stesso  PPTR  e  della  necessaria
previa  acquisizione  dei  nulla  osta,  comunque  denominati,  delle
amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica. Occorre infatti
sottolineare che gli interventi di cui al  piano  casa  pugliese  non
sono conformi a molte delle prescrizioni d'uso nonche' alle misure di
salvaguardia  e  utilizzazione  previste  dalla  NTA  del  PTPR.   Si
richiamano, ad esempio: l'art.  45  (Prescrizioni  per  i  «Territori
costieri» e  i  «Territori  contermini  ai  laghi»),  che  vieta  nei
territori  costieri  e  contermini  ai  laghi  la  realizzazione   di
qualsiasi  nuova  opera  edilizia,  fatta  eccezione  per  le   opere
finalizzate al recupero/ripristino dei valori  paesistico/ambientali;
gli  articoli  62  (Prescrizioni  per  i  boschi),  63   (Misure   di
salvaguardia e di utilizzazione per l'Area di rispetto  dei  boschi),
64  (Prescrizioni  per  le  «Zone  umide  Ramsar»),  65  (Misure   di
salvaguardia e di utilizzazione per le «Aree umide») e 66 (Misure  di
salvaguardia e di utilizzazione per  «Prati  e  pascoli  naturali»  e
«Formazioni  arbustive»),  che  escludono  in  tali  aree  le   nuove
edificazioni. 
    Cio'  significa  che  la  norma  regionale  punta  in  realta'  a
superare,  in  concreto,  le  previsioni  di   piano,   astrattamente
dichiarate non  superabili,  al  fine  di  consentire  ai  comuni  di
realizzare i predetti interventi anche  se  in  deroga  alle  NTA  di
piano. 
    Tale intento e' reso palese proprio dal richiamo  al  parere  del
Servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici
dell'8 luglio 2021: il richiamo e' volto a qualificare gli interventi
di  demo-ricostruzione  con  modifica  di  sagoma,  prospetti,  ecc.,
eseguiti su immobili sottoposti a tutela, quali  meri  interventi  di
ristrutturazione edilizia, invece  che  di  nuova  costruzione,  come
previsto dalla disciplina statale. Ne deriva che la  regione  mira  a
consentire l'effettuazione di tali interventi in tutte le aree  nelle
quali le NTA del PTPR non consentono le nuove costruzioni.  Le  nuove
costruzioni possono  riguardare  anche  aree  agricole  ricadenti  in
contesti paesaggisticamente vincolati  ai  sensi  dell'art.  136  del
Codice, per i quali il PPTR prevede, all'art. 78, comma 4, delle NTA,
l'obbligo per gli enti locali di disciplinare «gli interventi edilizi
ed il consumo di suolo anche  attraverso  l'individuazione  di  lotti
minimi di intervento e limiti  volumetrici  differenziati  a  seconda
delle tessiture e delle morfologie agrarie storiche  prevalenti»;  le
norme regionali possono percio' costituire una seria minaccia per  la
tutela  dei  territori  agricoli.   Anche   di   recente   la   Corte
costituzionale, intervenendo sulla normativa del piano casa  campano,
ha ribadito i principi evocabili in materia e in particolare che  «al
legislatore  regionale  e'  impedito  [...]  adottare  normative  che
deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono
obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso  stretto»
(sentenza n. 261 del 2021, che richiama le sentenze nn. 74 e 141  del
2021). 
    In tale occasione la Corte ha infatti ricordato che «la normativa
sul Piano casa, pur  nella  riconosciuta  finalita'  di  agevolazione
dell'attivita' edilizia, non puo' far venir meno la natura cogente  e
inderogabile delle previsioni del Codice dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, adottate  dal  legislatore  statale  nell'esercizio  della
propria competenza esclusiva in  materia  di  "tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali", trattandosi di competenza  che
«si  impone  al  legislatore  regionale  che  eserciti   la   propria
competenza nella materia "edilizia ed urbanistica"» (sentenza  n.  86
del 2019). 
    Il piano paesaggistico, infatti, e'  «strumento  di  ricognizione
del territorio oggetto di  pianificazione  non  solo  ai  fini  della
salvaguardia  e  valorizzazione  dei  beni  paesaggistici,  ma  anche
nell'ottica dello sviluppo sostenibile  e  dell'uso  consapevole  del
suolo, in modo da  poter  consentire  l'individuazione  delle  misure
necessarie per il corretto inserimento, nel  contesto  paesaggistico,
degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza  n.  172
del 2018). 
    Sotto tale profilo, le norme in esame sono illegittime in quanto,
in combinato disposto con l'art. 3 della legge regionale  n.  39  del
2021, consentono di derogare al PPTR approvato d'intesa con lo Stato,
in violazione degli articoli  135,  143,  145  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, da considerare norme  interposte  rispetto
all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,  oltre
che  del  principio  di  leale   collaborazione,   introducendo   una
disposizione abrogata su impegno assunto dalla regione e derogando in
via unilaterale al piano  paesaggistico  approvato  d'intesa  con  lo
Stato. 
    Risulta opportuno evidenziare che  la  Corte  costituzionale,  di
recente, pur non entrando nel merito delle censure poste dal  Governo
sulla proroga del piano casa sardo, ha stigmatizzato la prassi  delle
proroghe  successive  nel  tempo  rimarcando   che   «Il   prolungato
succedersi delle proroghe di una disciplina derogatoria, in contrasto
con  le  esigenze  di  una  regolamentazione  organica  e   razionale
dell'assetto  del  territorio,  presenta  un   innegabile   rilievo»,
trattandosi di un dato «meritevole di attenta  considerazione»  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 2021). 
    Ancora piu' di recente la Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
della ennesima  proroga  del  piano  casa  calabrese,  censurata  dal
Governo in quando, nel consentire interventi edilizi straordinari, in
deroga agli strumenti urbanistici, ulteriori rispetto a  quelli  gia'
previsti dalla legge regionale calabrese sul piano casa del  2010,  e
nel prorogarne nel tempo la realizzabilita', in riferimento  anche  a
immobili    edificati    piu'    recentemente,    senza    procedere,
preliminarmente, alla necessaria concertazione e condivisione con gli
organi statali competenti, la regione avrebbe violato  la  competenza
legislativa esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio e il
principio di leale collaborazione nonche' disatteso l'impegno assunto
nei  confronti   dello   Stato   di   proseguire   il   percorso   di
collaborazione, determinando una riduzione dello standard  di  tutela
del paesaggio che la Costituzione assegna allo Stato  (cfr.  sentenza
n. 219 del 2021, paragrafo 1.2. considerato in diritto). 
    In tale occasione la Corte ha ritenuto le  questioni  fondate  in
riferimento a tutte le disposizioni impugnate e a tutti  i  parametri
evocati, sottolineando che «Il piano paesaggistico regionale - le cui
prescrizioni sono "cogenti per gli strumenti urbanistici dei  comuni,
delle  citta'  metropolitane  e  delle  province"  e  "immediatamente
prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute  negli
strumenti urbanistici" (art. 145, comma 3, del decreto legislativo n.
42 del 2004) - e' infatti "strumento di ricognizione  del  territorio
oggetto di pianificazione non  solo  ai  fini  della  salvaguardia  e
valorizzazione dei beni paesaggistici,  ma  anche  nell'ottica  dello
sviluppo sostenibile e dell'uso consapevole del  suolo,  in  modo  da
poter consentire l'individuazione  delle  misure  necessarie  per  il
corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di
trasformazione del territorio" (sentenza n. 172 del 2018,  richiamata
dalla sentenza n. 86 del 2019). 
    Per  tale  motivo,  questa  Corte  ha  gia'  avuto  occasione  di
affermare che e' necessario salvaguardare "la  complessiva  efficacia
del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralita' e dalla
parcellizzazione  degli  interventi  delle   amministrazioni   locali
(sentenza n. 182 del 2006)" (sentenza n. 74 del  2021)»  (cfr.  punto
4.1. considerato in diritto). 
    Sempre nella sentenza in commento  la  Corte  ha  affermato  «E',
pertanto, evidente che l'introduzione  delle  disposizioni  regionali
impugnate, che, come  si  e'  detto,  consentono  interventi  edilizi
straordinari,  in  deroga  agli  strumenti   urbanistici,   ulteriori
rispetto a quelli gia' previsti dalla citata legge reg.  Calabria  n.
21 del 2010  e  ne  prorogano  di  un  anno  la  realizzabilita',  in
riferimento anche  a  immobili  edificati  piu'  recentemente,  senza
seguire le modalita' procedurali  collaborative  concordate  e  senza
attendere l'approvazione congiunta del piano paesaggistico regionale,
viola l'impegno assunto dalla regione in ordine alla condivisione del
"governo delle trasformazioni del proprio territorio e congiuntamente
del paesaggio" (art. 1, comma 1, del QTRP) e, quindi, il principio di
leale collaborazione cui si informano le norme del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio e determina  una  lesione  della  sfera  di
competenza   statale   in   materia   di    "tutela    dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali"» (paragrafo 4.2. considerato in
diritto). 
    La Corte ha tratto dal proprio decisum un  ulteriore  corollario,
laddove afferma: «Cio' comporta un'ulteriore conseguenza,  confortata
da quanto questa Corte ha  recentemente  affermato  con  riguardo  al
potere di pianificazione  urbanistica,  in  armonia  con  il  giudice
amministrativo,  e  cioe'  che   esso   "non   e'   funzionale   solo
all'interesse all'ordinato sviluppo edilizio del territorio [...], ma
e' rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralita' di
differenti interessi pubblici, che trovano il proprio  fondamento  in
valori costituzionalmente garantiti"  (Consiglio  di  Stato,  sezione
quarta, sentenza 9 maggio 2018, n. 2780)» (sentenza n. 202 del 2021). 
    Le argomentazioni della Corte appaiono ancora piu' efficaci  ove,
mutatis mutandis, la proroga del  piano  casa  sia  disposta  da  una
regione, come la Puglia, nella quale l'attivita' di  copianificazione
abbia  gia'  comportato  l'approvazione   del   piano   paesaggistico
regionale, elaborato  congiuntamente  a  seguito  della  stipula  del
Protocollo  d'intesa  e  della   successiva   attivita'   preordinata
all'elaborazione del piano 3. Cio' in  quanto,  in  questo  caso,  la
scelta   unilaterale   della   regione   di   assentire    interventi
«straordinari» in deroga ai piani urbanistici, attraverso la deroga a
questi ultimi si traduce in una deroga al  piano  paesaggistico  gia'
approvato  d'intesa  con  lo  Stato,  al   quale   detti   strumenti,
sotto-ordinati, hanno l'obbligo di conformarsi e  adeguarsi.  E  cio'
nonostante le parti si siano impegnate anche ad agire congiuntamente,
pro  futuro,  ove  si  ritenga  opportuno  introdurre   modifiche   o
integrazioni al piano approvato. Cio' peraltro anche  alla  luce  del
gia' illustrato art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021,  ove  si
consentono gli interventi straordinari  del  piano  casa  nelle  aree
paesaggisticamente tutelate, in deroga alle NTA del PPTR. 
    L'art. 145 del Codice, norma interposta in  riferimento  all'art.
117,  secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione,   reca   la
disciplina del «Coordinamento della pianificazione paesaggistica  con
altri strumenti di  pianificazione».  Come  evidenziato  dal  giudice
amministrativo (cfr. sentenza n. 3820  del  2021  cit.),  i  principi
cardine ai quali detto coordinamento si ispira sono: 
        a) il riconoscimento  in  capo  all'organo  ministeriale  del
potere  di  individuare  le  linee  fondamentali   dell'assetto   del
territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio; 
        b) il  rilievo  nazionale  e  accentrato  dell'esercizio  del
potere in  questione,  con  precipue  finalita'  di  indirizzo  della
pianificazione e di direzione ai fini del conferimento di funzioni  e
compiti alle regioni e agli enti locali; 
        c) il principio del  coordinamento  dei  piani  paesaggistici
rispetto agli altri strumenti di  pianificazione  territoriale  e  di
settore, nonche' rispetto a piani, programmi e progetti  nazionali  e
regionali di sviluppo economico; 
        d) l'espressa inderogabilita' delle previsioni contenute  nei
piani paesaggistici di cui agli  articoli  143  e  156  del  medesimo
Codice da parte di piani, programmi e progetti nazionali o  regionali
di sviluppo economico; l'espressa cogenza delle  previsioni  medesime
rispetto agli strumenti urbanistici degli  enti  territoriali  minori
(comuni, citta'  metropolitane  e  province);  l'espressa  prevalenza
delle stesse  sulle  disposizioni  difformi  eventualmente  contenute
negli strumenti urbanistici e sulle normative di settore; 
        e)  l'obbligo  di  conformazione  e  di   adeguamento   degli
strumenti di pianificazione urbanistica  e  territoriale  degli  enti
locali minori alle previsioni dei  piani  paesaggistici,  secondo  le
procedure previste dalla legge regionale. 
    Appare evidente che tali principi  sono  in  toto  violati  dalla
messa a regime, da parte del legislatore regionale, di una disciplina
che consente trasformazioni del territorio in deroga  agli  strumenti
urbanistici, i quali sono gli strumenti attraverso i quali  il  piano
paesaggistico,  di   valenza   gerarchicamente   subordinata,   opera
concretamente nel territorio. La legge pugliese  fa  salvo,  infatti,
solamente il rispetto delle altezze massime e delle  distanze  minime
previste dagli strumenti urbanistici e non contiene alcuna  norma  di
salvaguardia delle prescrizioni del piano paesaggistico,  che  limiti
le deroghe agli strumenti urbanistici all'interno di tali previsioni.
La possibilita' di derogare agli strumenti urbanistici, i quali hanno
l'obbligo di conformazione e adeguamento al piano  paesaggistico,  in
una Regione (come la Puglia), nella quale il piano  paesaggistico  e'
gia' stato approvato, comporta, procedendo a ritroso, la deroga anche
a quest'ultimo. Occorre peraltro evidenziare che anche nelle fasi  di
adeguamento e conformazione  degli  strumenti  urbanistici  al  piano
paesaggistico deve essere assicurata la partecipazione del  Ministero
preposto alla tutela del paesaggio. Diversamente da quanto  stabilito
dal Codice e dagli accordi intercorsi tra le parti, esplicitati anche
mediante approvazione del piano paesaggistico, la Regione  Puglia  ha
invece intrapreso l'iniziativa del tutto autonoma di prorogare ancora
una volta una normativa straordinaria, i cui effetti sono  destinati,
inevitabilmente,  a  riverberarsi  sulla  disciplina   pianificatoria
condivisa nel piano approvato, anche a scapito della stessa. 
    Le   disposizioni   sono   quindi   manifestamente   affette   da
illegittimita'  costituzionale,   secondo   gli   specifici   profili
considerati di seguito. 
    Lo stesso art. 1 della legge regionale n. 14 del 2009, recante il
piano  casa  pugliese,   definisce   l'intervento   normativo   quale
straordinario e temporaneo. 
    La Corte costituzionale, intervenuta al riguardo, non ha  mancato
di rilevare come il c.d. piano casa  si  configuri  alla  stregua  di
«misura straordinaria di rilancio del  mercato  edilizio  predisposta
nel  2008  dal  legislatore  statale,  contenuta  nell'art.  11   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.  In
particolare l'art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano
potesse realizzarsi anche attraverso possibili  «incrementi  premiali
di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di  servizi,  spazi
pubblici e di miglioramento della qualita' urbana, nel rispetto delle
aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati
alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi di  cui  al
decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». Nel
2009,  per  dare  attuazione  a  tale  norma  fece  seguito  l'intesa
raggiunta in sede di  Conferenza  unificata,  stipulata  in  data  1°
aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali (...) aumenti
volumetrici (pari al 20 per cento o  al  35  per  cento  in  caso  di
demolizione e ricostruzione) a fronte di  un  generale  miglioramento
della qualita' architettonica e/o energetica del patrimonio  edilizio
esistente.» (Corte costituzionale n. 70 del 2020; cfr.  anche,  ancor
piu' nettamente, Corte costituzionale n. 217 del 2020). 
    Il carattere straordinario  e  temporaneo  del  piano  casa  pare
tuttavia essere stato snaturato dalla regione, la  quale,  attraverso
le continue proroghe apportate con le leggi  regionali  che  si  sono
susseguite nel tempo ha determinato la  sostanziale  stabilizzazione,
per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge n. 14 del
2009, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria,  il
numero degli interventi assentibili  in  deroga  alla  pianificazione
urbanistica e territoriale. 
    Al  riguardo,  non  pare  inutile   osservare   come   la   Corte
costituzionale abbia piu' volte rimarcato che le norme regionali  che
dispongono proroghe, successive nel tempo, al  termine  di  efficacia
inizialmente  previsto  hanno  l'effetto  di  consolidare  nel  tempo
l'assetto «in deroga» (cfr. ad esempio, in materia  di  tutela  della
concorrenza, Corte  costituzionale  n.  233  del  2020:  «I  principi
garantiti dalla normativa interna e sovranazionale possono  risultare
compromessi da una pluralita' di proroghe  che,  anche  se  di  breve
durata, realizzino sommandosi tra di loro un'alterazione del mercato,
ostacolando, senza soluzione di continuita', l'accesso al settore  di
nuovi operatori»). Va, poi, ricordato che non assume alcun rilievo la
circostanza che il Governo abbia rinunciato  alla  impugnativa  della
precedente legge regionale di proroga (n. 35  del  2020),  a  seguito
dell'attuazione dell'impegno,  da  parte  del  legislatore  regionale
pugliese, di disporre l'abrogazione della sopra citata lettera  c-bis
del comma 2 dell'art. 6 della legge regionale  n.  9  del  2014,  sia
perche' il contrasto con i principi costituzionali  discende  proprio
dalla trasformazione di una misura eccezionale e  temporanea  in  una
disciplina a regime, sia perche', comunque, la  Corte  costituzionale
ha da tempo chiarito che  «nei  giudizi  in  via  principale  non  si
applica l'istituto dell'acquiescenza, atteso che la norma  impugnata,
anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di  una  norma  anteriore
non impugnata, ha comunque l'effetto di reiterare la lesione  da  cui
deriva l'interesse a ricorrere» (cfr. sentenza  Corte  costituzionale
n. 56 del 2020, che richiama le precedenti sentenze n. 41  del  2017,
n. 231 e n. 39 del 2016). 
    La scelta cosi' operata dalla regione presenta  delle  criticita'
rispetto alla disciplina di tutela dei beni  paesaggistici  contenuta
nel Codice dei beni culturali e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  risultando  invasiva  della
potesta'  legislativa  esclusiva  spettante  allo  Stato   ai   sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Gli interventi di trasformazione  urbanistica  ed  edilizia  sono
invero collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che
dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano  paesaggistico,
ai sensi degli articoli 135, 143 e  145  del  Codice  di  settore,  e
addirittura  consentiti  in  deroga  ad  esso  (per  mezzo  del  gia'
richiamato art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021).  Soltanto  a
quest'ultimo strumento,  elaborato  d'intesa  tra  Stato  e  regione,
spetta infatti di stabilire,  per  ciascuna  area  tutelata,  le  cd.
prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione del vincolo,  volti
a orientare la fase autorizzatoria) e  di  individuare  la  tipologia
delle trasformazioni compatibili e  di  quelle  vietate,  nonche'  le
condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    La legge regionale n. 14 del 2009 - la cui operativita' e'  stata
prorogata dal Capo I della legge in oggetto - consentendo  la  deroga
agli strumenti urbanistici, i quali hanno l'obbligo di  conformazione
e adeguamento al  piano  paesaggistico,  contrasta,  dunque,  con  la
scelta del legislatore statale di rimettere  alla  pianificazione  la
disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli)
ai fini dell'autorizzazione degli interventi, come esplicitata  negli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  costituenti  norme  interposte  rispetto   al   parametro
costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione. Per mezzo del gia' richiamato  art.  3  della
legge regionale n. 39 del 2021,  gli  interventi  del  piano  casa  -
oggetto di proroga - sono addirittura assentibili in deroga al  piano
paesaggistico, ricorrendo all'artificiosa estensione della  categoria
delle ristrutturazioni edilizie che consentirebbe  il  rispetto  solo
formale delle NTA del PPTR (divieto di nuove costruzioni) che  invece
sono sostanzialmente derogate. Al riguardo, occorre  tenere  presente
che la parte III del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio
delinea un sistema organico  di  tutela  paesaggistica,  inserendo  i
tradizionali strumenti del provvedimento  impositivo  del  vincolo  e
dell'autorizzazione paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione
paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente
da Stato e  regione.  Tale  pianificazione  concordata  prevede,  per
ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri
di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e
stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di  quelle
vietate, nonche' le condizioni  delle  eventuali  trasformazioni.  Il
legislatore  nazionale,  nell'esercizio  della  potesta'  legislativa
esclusiva in materia, ha assegnato dunque al piano paesaggistico  una
posizione di assoluta preminenza nel  contesto  della  pianificazione
territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3,  del  Codice
di settore sanciscono infatti l'inderogabilita' delle previsioni  del
predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti  nazionali
o regionali di sviluppo economico e la  loro  cogenza  rispetto  agli
strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata  prevalenza  del  piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza  e'  gia'  stata  affermata   piu'   volte   dalla   Corte
costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che
intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli  strumenti
di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la  necessaria
condivisione delle scelte attraverso uno strumento di  pianificazione
sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. La  Corte
ha, infatti, affermato l'esistenza di  un  vero  e  proprio  obbligo,
costituente un principio inderogabile della legislazione statale,  di
elaborazione congiunta del piano paesaggistico,  con  riferimento  ai
beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del 2019) e  ha  rimarcato
che  l'impronta  unitaria  della  pianificazione  paesaggistica   «e'
assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile  dal  legislatore
regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una
metodologia uniforme nel rispetto della legislazione  di  tutela  dei
beni culturali  e  paesaggistici  sull'intero  territorio  nazionale»
(Corte costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272
del 2009). 
    Questo profilo di illegittimita' non viene meno in relazione alla
circostanza per cui, con riferimento agli immobili situati nelle aree
paesaggisticamente vincolate, si  dispone  la  non  operativita'  del
piano  casa  (ai  sensi  dell'art.  6  della  legge  del  2009),   in
particolare alla luce della  disposizione  -  contenuta  in  un'altra
legge regionale - di cui all'art. 3 della legge n. 39 del 2021, della
quale si sono ampiamente illustrati gli effetti derogatori alle norme
di piano. 
    La Regione Puglia ha infatti  scelto  di  co-pianificare  con  lo
Stato  tutto  il  territorio   regionale,   e   non   solo   i   beni
paesaggisticamente vincolati. 
    Conseguentemente, il piano paesaggistico pugliese,  strumento  di
pianificazione di vertice dell'intero territorio regionale, e' frutto
dell'attivita' di elaborazione congiunta tra la regione e lo Stato, a
cui la regione sceglie ancora una volta, unilateralmente,  di  venire
meno. 
    Viene cosi' compromessa  la  necessita'  imprescindibile  di  una
valutazione complessiva  della  trasformazione  del  paesaggio,  come
espressa nell'ambito del Piano paesaggistico, adottato previa  intesa
con lo Stato. 
    I principi ora illustrati  trovano  costante  affermazione  nella
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  la  quale,  anche   di
recente,  ha  ribadito  che  «la  circostanza  che  la  regione   sia
intervenuta a dettare una deroga ai limiti per  la  realizzazione  di
interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure
con riguardo alle pertinenze, in deroga agli  strumenti  urbanistici,
senza seguire l'indicata modalita' procedurale collaborativa e  senza
attendere l'adozione congiunta  del  piano  paesaggistico  regionale,
delinea una lesione della sfera di competenza statale in  materia  di
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che  si
impone al legislatore regionale, sia nelle regioni a statuto speciale
(sentenza n. 189 del 2016) che a  quelle  a  statuto  ordinario  come
limite all'esercizio di competenze  primarie  e  concorrenti»  (Corte
costituzionale n. 86 del 2019). 
    Come pure evidenziato dalla Corte, «Quanto detto non vanifica  le
competenze delle regioni e  degli  enti  locali,  "ma  e'  l'impronta
unitaria della pianificazione paesaggistica che e' assunta  a  valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto
espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull'intero territorio nazionale:  il  paesaggio  va,
cioe', rispettato  come  valore  primario,  attraverso  un  indirizzo
unitario  che   superi   la   pluralita'   degli   interventi   delle
amministrazioni locali"  (sentenza  n.  182  del  2006;  la  medesima
affermazione e' presente anche nelle successive sentenze  n.  86  del
2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015  e  n.  197  del  2014)»
(Corte costituzionale n. 240 del 2020). Mediante la legge  in  esame,
la  Regione  Puglia,  pur  avendo  acconsentito  alla  pianificazione
congiunta dell'intero territorio regionale con lo Stato,  si  sottrae
ora ingiustificatamente al proprio obbligo, esercitando una  funzione
di disciplina del paesaggio e dei  beni  paesaggistici  in  modo  del
tutto  autonomo,  nonostante  la  co-pianificazione  costituisca   un
principio inderogabile posto dal Codice e al quale la regione si  e',
inoltre, specificamente obbligata, nell'ambito del percorso condiviso
con il Ministero della cultura  e  tradottosi  nell'approvazione  del
piano paesaggistico. 
    Le  osservazioni  ora  svolte  non  sono  affatto  smentite   dai
richiamati  limiti  all'applicabilita'  del   piano   casa   disposti
dall'art. 6 della legge  regionale  del  2009,  ne'  dall'intervenuta
abrogazione della lettera c-bis del comma 2 del medesimo art.  6  che
consentiva  ai  comuni  di  derogare  alle  disposizioni  del   piano
paesaggistico. 
    E',  infatti,  evidente  come  in  una  regione  nella  quale  la
co-pianificazione   paesaggistica   e'   estata   estesa   all'intero
territorio regionale, conformemente alle  previsioni  degli  articoli
135 e 143 del Codice viene a essere  completamente  neutralizzato  il
fondamentale  pilastro  della  tutela  paesaggistica  previsto  dalla
legislazione  statale,  ossia  il  piano  paesaggistico.   La   legge
regionale  consente  infatti  la   realizzazione   degli   interventi
nonostante l'approvazione del piano paesaggistico  regionale,  frutto
di elaborazione congiunta con lo Stato. 
    In altri  termini,  la  regione  esercita  surrettiziamente  essa
stessa, con legge, una  funzione  di  pianificazione  del  paesaggio,
stabilendo la compatibilita' di massima di una serie  di  interventi,
senza alcuna valutazione specifica dei singoli contesti e  senza  che
sia possibile valutare adeguatamente l'effetto cumulativo dei singoli
interventi. E cio' nonostante abbia approvato il piano paesaggistico,
previa intesa con lo Stato riferita a tutto il territorio regionale. 
    Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la  violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della   Costituzione,
rispetto al quale costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Inoltre, l'abbassamento  del  livello  della  tutela  determinato
dall'art. 1 della legge regionale in oggetto comporta  la  violazione
anche dell'art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della
tutela del paesaggio  quale  interesse  primario  e  assoluto  (Corte
costituzionale  n.  367  del  2007),  per  violazione  dei  parametri
interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e  145  del  Codice  di
settore. 
    Come detto, la  disciplina  derogatoria  opera  in  relazione  al
paesaggio non vincolato, pur  oggetto  di  co-pianificazione  con  lo
Stato, costituente oggetto  di  tutela  ai  sensi  della  Convenzione
europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre  2000  e
ratificata dall'Italia con  la  legge  9  gennaio  2006,  n.  14.  La
Convezione prevede infatti, all'art. 1, lettera a),  che  il  termine
«paesaggio» «designa una determinata parte di territorio,  cosi  come
e' percepita dalle popolazioni, il cui carattere  deriva  dall'azione
di fattori naturali e/o umani e dalle loro  interrelazioni».  Oggetto
della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi,  tutti  i
paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico. 
    Con riferimento  ai  paesaggi,  cosi'  definiti,  la  Convenzione
prevede, all'art. 5, che «Ogni parte si impegna a: 
        a)  riconoscere  giuridicamente  il   paesaggio   in   quanto
componente  essenziale  del  contesto  di  vita  delle   popolazioni,
espressione della diversita' del loro comune patrimonio  culturale  e
naturale e fondamento della loro identita'; 
        b) stabilire e attuare politiche  paesaggistiche  volte  alla
salvaguardia, alla  gestione  e  alla  pianificazione  dei  paesaggi,
tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente art. 6; 
        c) avviare procedure di partecipazione  del  pubblico,  delle
autorita' locali e regionali e degli altri soggetti  coinvolti  nella
definizione e  nella  realizzazione  delle  politiche  paesaggistiche
menzionate al precedente capoverso b); 
        d) integrare il paesaggio nelle politiche  di  pianificazione
del territorio, urbanistiche  e  in  quelle  a  carattere  culturale,
ambientale, agricolo,  sociale  ed  economico,  nonche'  nelle  altre
politiche che possono avere  un'incidenza  diretta  o  indiretta  sul
paesaggio.» 
    In forza del successivo art. 6, inoltre, l'Italia si e' impegnata
all'adozione  di  misure  specifiche,  tra  l'altro,   in   tema   di
«Identificazione e valutazione», da attuare «Mobilitando  i  soggetti
interessati conformemente all'art. 5.c, e ai  fini  di  una  migliore
conoscenza dei propri paesaggi, ogni parte si impegna a: 
        a)  i)  identificare  i  propri  paesaggi,  sull'insieme  del
proprio territorio; 
        ii) analizzarne le caratteristiche, nonche' le dinamiche e le
pressioni che li modificano; iii seguirne le trasformazioni; 
        b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori
specifici che sono loro attributi dai soggetti  e  dalle  popolazioni
interessate; (...)». 
    Le misure richieste  dalla  Convenzione  prevedono,  inoltre,  la
fissazione  di  appositi  obiettivi  di  qualita'   paesaggistica   e
l'attivazione degli «strumenti di intervento volti alla salvaguardia,
alla gestione e/o alla pianificazione  dei  paesaggi».  L'adempimento
degli impegni assunti mediante la  sottoscrizione  della  Convenzione
richiede che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione  e  di
specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per
le parti che non siano oggetto di tutela  quali  beni  paesaggistici.
Nel sistema ordinamentale, cio' si  traduce  nei  precetti  contenuti
all'art.  135  del  Codice  di  settore,  il  cui  testo   e'   stato
integralmente riscritto dal decreto legislativo n.  63  del  2008,  a
seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio. 
    In particolare, il comma 1 del predetto art. 135  stabilisce  che
«Lo Stato e  le  regioni  assicurano  che  tutto  il  territorio  sia
adeguatamente conosciuto, salvaguardato,  pianificato  e  gestito  in
ragione dei differenti valori espressi dai diversi  contesti  che  lo
costituiscono. A  tale  fine  le  regioni  sottopongono  a  specifica
normativa d'uso il territorio mediante  piani  paesaggistici,  ovvero
piani  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione   dei
valori  paesaggistici,  entrambi  di   seguito   denominati:   "piani
paesaggistici".  L'elaborazione  dei  piani   paesaggistici   avviene
congiuntamente  tra  Ministero  e  regioni,  limitatamente  ai   beni
paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,  lettere  b),  c)  e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143». 
    Il medesimo art. 135 disciplina, poi, la funzione e  i  contenuti
del piano paesaggistico. 
    Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non  vincolato,
le regioni sono tenute alla  pianificazione  paesaggistica,  pur  non
essendo tenute a tale pianificazione necessariamente d'intesa con  lo
Stato. 
    Con l'ennesima proroga degli interventi del c.d.  piano  casa  di
cui alla legge regionale n. 14 del 2009, la Regione  Puglia,  invece,
consente la realizzazione di  una  serie  di  interventi,  aventi  un
impatto significativo, anche per sommatoria, sui paesaggi,  vincolati
e non: 
        senza che  tali  interventi  siano  correttamente  inquadrati
nella  pianificazione  regionale,  allo  scopo  di  disciplinarne  la
compatibilita' con i singoli contesti; 
        con il solo limite del rispetto delle altezze massime e delle
distanze minime previste dagli strumenti urbanistici  (cfr.  articoli
3, comma 1, lettera b) e 4, comma 3 della legge regionale n.  14  del
2009). E', pertanto,  evidente  come  la  norma  contestata  realizzi
quanto meno una manifesta elusione  delle  previsioni  normative  che
impongono   la   pianificazione   dei   paesaggi   quale    strumento
imprescindibile per la tutela  dei  valori  che  essi  esprimono,  in
conformita' alla Convenzione europea del paesaggio. 
    Per le ragioni illustrate, emerge la violazione degli articoli  9
e  117,  primo  comma,  della   Costituzione,   rispetto   ai   quali
costituiscono  norme  interposte  la  legge  n.  14  del   2006,   di
recepimento della Convenzione  europea  sul  paesaggio,  nonche'  gli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  costituenti  norme  interposte  rispetto  all'art.   117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    La Regione Puglia ha gia' prorogato il termine per avvalersi  del
c.d. piano casa, perpetuando il regime «straordinario» introdotto per
la prima volta nel 2009 e che consente sin da allora la realizzazione
di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica. Si  e'
pure gia' evidenziato come il carattere straordinario della normativa
relativa al cd. Piano casa sia  stato  rimarcato  anche  dalla  Corte
costituzionale (Corte costituzionale n. 70  del  2020)  e  come  tale
finalita'  risulti  del  tutto  snaturata  mediante  la   sostanziale
stabilizzazione, per oltre  un  decennio,  delle  deroghe  consentite
dalla legge regionale n. 14 del 2009 alla pianificazione urbanistica.
Il risultato e' quello di assicurare  a  regime  la  possibilita'  di
realizzare   interventi   di   rilevante   impatto   sul   territorio
direttamente ex lege, in  deroga  agli  strumenti  di  pianificazione
urbanistica,  e  quindi  del  tutto  al  di  fuori  di   qualsivoglia
valutazione del singolo contesto territoriale. Secondo  l'intesa  sul
piano casa siglata nel 2009, infatti, «La disciplina introdotta dalle
suddette leggi  regionali  avra'  validita'  temporalmente  definita,
comunque non superiore a diciotto mesi dalla loro entrata in  vigore,
salvo diverse determinazioni delle singole regioni». Se pur e'  fatta
salva una diversa volonta' regionale, la espressa  previsione  di  un
termine, peraltro di soli diciotto mesi, non consente di  ipotizzare,
legittimamente, una «messa a regime», da parte delle regioni, di  una
normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica. 
    Va sottolineato, al riguardo, che il  giudice  amministrativo  ha
sempre rimarcato il carattere  temporaneo  del  cd.  piano  casa,  il
quale, riflettendo l'esigenza di promuovere gli investimenti  privati
nel settore dell'edilizia, «e' una  disciplina  che  possiede  natura
eccezionale in merito a  specifici  interventi.  In  particolare,  la
normativa de qua e' destinata ad operare per  un  arco  temporalmente
limitato» (cfr. Tribunale amministrativo regionale Campania,  Napoli,
Sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304). 
    Anche la normativa del c.d. «secondo piano casa», di cui all'art.
5, commi 9 e  seguenti,  del  decreto-legge  n.  70  del  2011  (c.d.
«decreto Sviluppo») si qualifica per il suo carattere straordinario e
derogatorio. La giurisprudenza ha infatti evidenziato la sua  «natura
di norma di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini
diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle  ordinarie)  ...
tenendo conto del fatto che essa  non  e'  comunque  suscettibile  di
applicazioni oltre gli scopi cui e' preordinata, con  la  conseguenza
che essa non puo' prevalere  sulle  regole  che  fissano  standard  o
criteri inderogabili, tra cui il decreto  ministeriale  n.  1444  del
1968,  imponendo  altresi'  il  rispetto   delle   altre   discipline
richiamate» (Cass. pen. Sez. III, 20 novembre 2019, n. 2695; cfr.  al
riguardo anche Corte costituzionale n. 217 del 2020). 
    Tale  lettura  si  impone,  nell'ambito   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, in ragione del fatto  che  -  in  forza
della norma di interpretazione autentica di  cui  all'art.  1,  comma
271,  della  legge  23  dicembre  2014,  n.  190  -  le  agevolazioni
incentivanti  ivi  previste  «prevalgono  sulle  normative  di  piano
regolatore generale,  anche  relative  a  piani  particolareggiati  o
attuativi, fermi i limiti  di  cui  all'art.  5,  comma  11,  secondo
periodo, del citato decreto-legge n. 20 del 2011».  La  deroga  della
pianificazione urbanistica deve,  infatti,  considerarsi  ammissibile
per un tempo necessariamente limitato e non e' ipotizzabile a regime,
pena la destrutturazione dell'ordinato assetto  del  territorio,  con
conseguenze  irragionevoli  e  contrarie  al   principio   del   buon
andamento. 
    In molte regioni, infatti, le disposizioni del piano  casa  hanno
cessato  ogni  efficacia,  proprio  in  virtu'  della   loro   natura
essenzialmente «temporanea». 
    Cio' detto, non puo' non osservarsi come  per  il  tramite  della
«stabilizzazione»  della  normativa  sul  c.d.   piano   casa   venga
scardinato il  principio  fondamentale  in  materia  di  Governo  del
territorio - sotteso all'intero impianto della legge  urbanistica  n.
1150 del 1942, in particolare a seguito delle  modifiche  apportatevi
dalla legge n. 765 del 1967 - secondo  il  quale  gli  interventi  di
trasformazione edilizia e urbanistica sono  consentiti  soltanto  nel
quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di
disciplina degli usi del territorio necessaria e  insostituibile,  in
quanto idonea a fare  sintesi  dei  molteplici  interessi,  anche  di
rilievo   costituzionale,   che   afferiscono   a   ciascun    ambito
territoriale. 
    In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di
governo del territorio, che si impongono  alla  potesta'  legislativa
concorrente spettante in materia alle regioni  a  statuto  ordinario,
quelli posti dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150; articolo aggiunto dall'art. 17 della  legge  6  agosto
1967, n. 765. 
    Con le disposizioni ora richiamate,  il  legislatore  statale  ha
infatti stabilito: 
        (i) che tutto il territorio comunale debba essere pianificato
e che, dunque,  ogni  intervento  di  trasformazione  urbanistica  ed
edilizia del territorio debba inserirsi nel  quadro  dello  strumento
urbanistico comunale; 
        (ii) che «In tutti i comuni,  ai  fini  della  formazione  di
nuovi strumenti urbanistici o della revisione  di  quelli  esistenti,
debbono essere osservati limiti inderogabili di densita' edilizia, di
altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti  massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi.» (ottavo comma) e che «I limiti e i rapporti previsti  dal
precedente comma sono definiti per zone  territoriali  omogenee,  con
decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per
l'interno, sentito il Consiglio superiore  dei  lavori  pubblici.  In
sede di prima applicazione della presente legge, tale  decreto  viene
emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della  medesima»  (nono
comma);  disposizione,  quest'ultima,   che   ha   trovato   puntuale
attuazione con l'emanazione del decreto ministeriale 2  aprile  1968,
n. 1444,  recante  «Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei  nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765». 
    In questo quadro, il legislatore nazionale  ha  previsto  che  la
possibilita' di assentire interventi in  deroga  alla  pianificazione
urbanistica sia ammessa soltanto in forza di una  decisione  assunta,
caso per caso, a livello locale, sulla base di  una  ponderazione  di
interessi che tenga conto del contesto territoriale (cfr. art. 14 del
decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 380). Posta
la predetta cornice di principio, non e' consentito alle regioni - al
di fuori della normativa straordinaria e  temporanea  del  cd.  piano
casa,  avente  copertura  a  livello  statale  -  introdurre  deroghe
generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard
urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444  del  1968,  tanto
piu' laddove tali deroghe generalizzate  assumano  carattere  stabile
nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del
tutto la funzione propria della pianificazione  urbanistica  e  degli
standard fissati a livello statale, volti  ad  assicurare  l'ordinato
assetto del territorio. 
    Come gia' anticipato codesta  ecc.  Corte,  nella  sentenza  piu'
volte citata sul piano casa calabrese, ha sottolineato come il potere
di  pianificazione   urbanistica,   in   armonia   con   il   giudice
amministrativo, «non e' funzionale  solo  all'interesse  all'ordinato
sviluppo edilizio del territorio [...],  ma  e'  rivolto  anche  alla
realizzazione contemperata di una pluralita' di differenti  interessi
pubblici,   che   trovano   il   proprio   fondamento    in    valori
costituzionalmente garantiti». 
    E'  pertanto  violato  anche  l'art.  117,  terzo  comma,   della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150  del  1942,  come  attuato  mediante  il  decreto
ministeriale n. 1444  del  1968;  dall'art.  2-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e dall'art. 5, comma  11,
del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    Le  disposizioni  in  esame,  nella  misura  in  cui   dispongono
l'estensione dell'operativita' della legge regionale n. 14 del  2009,
si pongono altresi' in contrasto con il principio  costituzionale  di
leale collaborazione, in quanto la proroga costituisce il  frutto  di
una scelta assunta unilateralmente dalla regione,  al  di  fuori  del
percorso condiviso con lo Stato che, come innanzi detto, ha  condotto
all'approvazione del piano paesaggistico regionale. Va  ricordato  al
riguardo che, secondo l'insegnamento della Corte  costituzionale,  il
principio di leale collaborazione «deve presiedere a tutti i rapporti
che intercorrono tra Stato e regioni», atteso che «la sua elasticita'
e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo  a  regolare
in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando  i  dualismi  ed
evitando eccessivi  irrigidimenti»  (cosi'  in  particolare,  tra  le
tante, Corte costituzionale n. 31 del 2006). In particolare, la Corte
ha chiarito che «Il principio di leale collaborazione, anche  in  una
accezione minimale, impone alle parti che  sottoscrivono  un  accordo
ufficiale in una sede istituzionale  di  tener  fede  ad  un  impegno
assunto» (cosi' ancora la sentenza richiamata). 
    La scelta della Regione Puglia di assumere iniziative unilaterali
e  reiterate,  al  di  fuori  del  percorso  di  collaborazione  gia'
proficuamente avviato con lo  Stato,  viola  il  principio  di  leale
collaborazione  cui  si  informano  le  norme  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio e determina  una  lesione  della  sfera  di
competenza statale in materia di tutela  del  paesaggio  (cfr.  Corte
costituzionale nn. 240 del 2020 e 219 del 2021). 
    La disciplina derogatoria dettata dalla legge regionale in  esame
opera, oltre  che  in  relazione  ai  beni  paesaggistici,  anche  in
relazione al paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di
tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta
a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9
gennaio 2006, n. 14. 
2. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  3  della  legge  Regione
Puglia n. 38 del 2021, intitolato «Modifiche alla legge regionale  n.
33/2007»  (Recupero  dei  sottotetti,  dei   porticati,   di   locali
seminterrati  e  interventi  esistenti  e  di  aree   pubbliche   non
autorizzate)» per violazione degli articoli 3, 9, 97 e 117,  primo  e
secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,  rispetto  ai  quali
costituiscono  norme  interposte  la  legge  n.  14  del   2006,   di
recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e  gli  articoli
4, 20, 21, 135, 143 e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, per  contrasto
con i  principi  fondamentali  statali  in  materia  di  Governo  del
territorio stabiliti dall'art. 41-quinquies della legge n.  1150  del
1942 e dall'art. 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001. 
    Il Capo II (art. 3) della legge regionale n. 38 del 2021  apporta
modifiche alla legge regionale 15 novembre 2007, n.  33,  concernente
«Recupero dei sottotetti, dei porticati,  di  locali  seminterrati  e
interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate». 
    Per effetto delle novelle, che sostituiscono la data  «30  giugno
2020» con «30 giugno 2021» negli articoli 1, comma 3, lettera a) e 4,
comma 1, della legge regionale del 2007, la normativa regionale viene
estesa agli edifici realizzati fino al 30 giugno 2021, prorogando  di
un ulteriore anno la portata applicativa della disciplina (si  tratta
della quinta proroga disposta nel  corso  degli  anni  dalla  Regione
Puglia). 
    La legge del 2007 consente il recupero delle volumetrie del piano
sottotetto esistente ai fini  connessi  con  l'uso  residenziale,  il
recupero dei porticati a piano terra o piano rialzato,  da  destinare
prioritariamente a uso terziario e/o commerciale nonche' il  recupero
dei locali seminterrati da destinare a uso residenziale e dei  locali
seminterrati  e  interrati  da  destinare   a   uso   terziario   e/o
commerciale, nonche' a usi strettamente connessi  con  le  residenze.
Tali interventi sono consentiti negli edifici destinati in tutto o in
parte a residenza e/o ad attivita' commerciale e terziaria, alla sola
condizione che per essi negli strumenti urbanistici comunali  vigenti
non sia espressamente vietato l'intervento di ristrutturazione. 
    La  normativa  regionale  non  prevede  limiti  generali  di  non
applicabilita' della  suddetta  disciplina.  L'art.  3  si  limita  a
prevedere che i comuni possono disporre motivatamente l'esclusione di
parti  del  territorio  comunale  dall'applicazione  della  legge  in
relazione   a   caratteristiche    storicoculturali,    morfologiche,
paesaggistiche e alla funzionalita' urbanistica nonche'  l'esclusione
di determinate tipologie di edifici o di interventi.  In  ogni  caso,
per  il  recupero  dei  locali  seminterrati  a   uso   residenziale,
l'applicabilita' della normativa e' obbligatoria  e  il  comune  puo'
solo definire condizioni e modalita' del recupero. 
    L'art. 4 della legge del 2007 detta le condizioni per il recupero
abitativo  dei  sottotetti  esistenti  (per  effetto  della  novella,
prorogati  al  giugno  2021),  ammettendolo  anche  per  gli  edifici
realizzati   abusivamente,   se   previamente   sanati,    calcolando
direttamente le altezze medie necessarie e  richiamando  il  rispetto
delle sole norme che disciplinano il condominio negli edifici. 
    L'art. 5 consente l'apertura  di  porte,  finestre,  lucernari  e
abbaini alla sola condizione che siano rispettati i caratteri formali
e strutturali dell'edificio. 
    Sebbene  la  regione  sostenga  che  non  sia  rinvenibile  nella
normativa statale il principio in base al quale  le  misure  edilizie
incentivanti  non  si  applicano  agli  abusi  edilizi   oggetto   di
sanatoria,  nell'Intesa  sul  piano  casa   del   2009   si   afferma
testualmente che «Tali interventi edilizi non  possono  riferirsi  ad
edifici abusivi o nei centri storici o in  aree  di  inedificabilita'
assoluta».  Ne  discende  pertanto   che   e'   principio   condiviso
l'inapplicabilita' di  misure  edilizie  premiali  o  incentivanti  a
favore di edifici abusivamente realizzati, benche' gli  stessi  siano
stati successivamente sanati. 
    L'art. 7 della legge del 2007 consente il recupero dei porticati,
alla sola condizione che siano rispettate le  normali  condizioni  di
abitabilita' o di agibilita'  previste  dai  vigenti  regolamenti  di
igiene e consentendo comunque, in  deroga  alle  vigenti  norme,  una
altezza minima di piano diversa, comunque non inferiore a 2,70 metri. 
    L'art. 8 detta le condizioni  alle  quali  consentire  l'utilizzo
residenziale dei piani seminterrati e terziario e commerciale  e  dei
piani seminterrati e interrati, a condizione che siano rispettate  le
prescrizioni dei vigenti regolamenti edilizi. 
    Le novelle estendono i recuperi volumetrici sopra descritti  agli
edifici, anche abusivamente realizzati, fino alla data del 30  giugno
2021, anziche' alla precedente data del  30  giugno  2020,  con  cio'
estendendo l'ambito applicativo  della  legge  che  puo'  operare  in
deroga agli strumenti urbanistici e anche agli  standard  urbanistici
di cui  al  decreto  ministeriale  n.  1444  del  1968.  L'estensione
disposta dal  legislatore  regionale  presenta  multipli  profili  di
illegittimita'. In via preliminare, si sottolinea che,  a  differenza
di altre discipline urbanistiche «in deroga», quali  per  esempio  il
c.d. «piano casa», la normativa regionale  non  e'  sorretta  da  una
norma statale, che,  valutati  ex  ante  gli  interessi  concorrenti,
consenta  alle  regioni,  entro  certi  limiti,  di   assentire   gli
interventi in questione in deroga alla pianificazione urbanistica. La
norma contrasta pertanto, come piu' avanti  si  specifichera',  anche
con i principi di ordinato sviluppo  del  territorio.  La  disciplina
regionale appare anche fortemente irragionevole, posto che la novella
ammette gli interventi in deroga anche  su  edifici  di  recentissima
realizzazione, senza che possano venire in gioco,  quindi,  interessi
pubblici  rilevanti  quali  il  contenimento   dell'uso   di   suolo,
l'efficientamento energetico, o la rigenerazione urbana. La normativa
regionale contrasta anche con l'obbligo di pianificazione,  posto  in
capo  alle  regioni  (cfr.  art.  135  del  Codice)  con  riferimento
all'intero territorio regionale, e che in Puglia si e'  tradotto  con
l'approvazione del piano paesaggistico regionale, elaborato  d'intesa
con lo Stato. 
    La normativa regionale pugliese non contiene alcuna  clausola  di
esclusione a favore dei beni culturali e paesaggistici,  ma  solo  la
generica possibilita', per i comuni, di disporre  la  esclusione  per
zone o per edifici, pur trattandosi di  interventi  molto  impattanti
sotto il profilo paesaggistico. Basti  considerare  che,  per  quanto
attiene    ai    sottotetti,    la    legge    regionale     consente
indiscriminatamente  l'apertura  di  porte,  finestre,  lucernari   e
abbaini  senza  alcuna  considerazione  dei  profili   paesaggistici,
nonostante  la  sommatoria  degli  interventi  sia  tale   da   poter
stravolgere il panorama urbano di riferimento. 
    Gli  interventi  de  quibus   con   i   correlativi   ampliamenti
volumetrici in deroga agli strumenti e agli standard urbanistici sono
estesi,  per  effetto  della  novella,  a  edifici  di   recentissima
realizzazione, per  i  quali  mal  si  conciliano  gli  obiettivi  di
contenere il consumo  di  suolo  e  di  promuovere  l'efficientamento
energetico  tramite   il   recupero   di   spazi,   con   ampliamento
dell'intervallo temporale di un anno rispetto al precedente, e  cio',
astrattamente, anche in contesti paesaggisticamente  vincolati  e  di
pregio. 
    La novella, ampliando la portata applicativa della norma mediante
la modifica del termine finale di applicazione (riferito all'anno  di
realizzazione degli edifici interessati), compromette  le  competenze
statali in materia di paesaggio  e  di  governo  del  territorio,  in
conformita' ai principi enunciati  dalla  Corte,  la  quale  ha  gia'
annullato norme regionali di spostamento in avanti  di  termini  gia'
fissati,  allo  scopo  di  prolungare  l'efficacia  della   normativa
regionale (cfr. sentenza n. 233 del 2020, riferita alla proroga delle
concessioni  termominerali  disposta  da  una  norma  della   Regione
Basilicata). 
    In tale occasione, peraltro, la Corte ha messo in  luce  come  le
norme regionali che dispongono proroghe,  successive  nel  tempo,  al
termine  di  efficacia  inizialmente  previsto  hanno  l'effetto   di
consolidare nel tempo l'assetto «in deroga». («I  principi  garantiti
dalla  normativa   interna   e   sovranazionale   possono   risultare
compromessi da una pluralita' di proroghe  che,  anche  se  di  breve
durata, realizzino sommandosi tra di loro un'alterazione del mercato,
ostacolando, senza soluzione di continuita', l'accesso al settore  di
nuovi operatori). 
    Cio' e' esattamente il risultato che la Regione  Puglia  consegue
per  effetto  della  novella  de  qua,  con  la  quale   si   estende
ulteriormente la portata della disciplina derogatoria agli edifici di
sempre piu' recente costruzione, con cio' consolidando «a regime» una
disciplina  nata   come   eccezionale   e   percio'   necessariamente
temporanea, compromettendo  le  prerogative  statali  in  materia  di
tutela  del  paesaggio  e  il  principio  di  ordinato  assetto   del
territorio. 
    Del tutto irrilevante, ai fini del vaglio di  ammissibilita',  e'
anche la circostanza che la normativa regionale di proroga (si tratta
della quinta) non sia stata precedentemente  impugnata  dal  Governo,
posto che, come detto, nei giudizi di impugnativa in  via  principale
non si applica l'istituto dell'acquiescenza. 
    La scelta del legislatore  regionale  presenta  delle  criticita'
rispetto alla disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici
contenuta nel Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  risultando
invasiva della potesta' legislativa esclusiva spettante allo Stato ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    E cio' in quanto la novella, pur estendo  l'applicabilita'  della
normativa regionale derogatoria agli edifici realizzati fino a giugno
del 2021, non contiene clausole  di  salvaguardia  riferite  ai  beni
culturali o al paesaggio, esercitando una non consentita funzione  di
disciplina estesa anche a tali beni e  cosi'  invadendo  la  potesta'
esclusiva dello Stato in materia. 
    Con riferimento a tali interventi si pone quindi  un  profilo  di
criticita' anzitutto con riguardo  ai  beni  culturali,  tutelati  ai
sensi della Parte II del Codice e non esclusi, in via  di  principio,
dalla disciplina regionale derogatoria, la cui portata viene ampliata
dalle richiamate previsioni della legge regionale n. 38 del 2021. 
    La regione ha infatti esercitato una funzione  di  disciplina  di
tali beni, non prevista dalla legge statale e  incompatibile  con  il
regime della tutela, prevedendo che (anche) i  beni  culturali  siano
astrattamente suscettibili degli interventi di recupero volumetrico. 
    Occorre rimarcare  che  la  regione  e'  del  tutto  sfornita  di
potesta' in materia, atteso che,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  la  tutela  del  patrimonio  culturale  compete
esclusivamente allo  Stato  e  si  impone  sulla  potesta'  regionale
(concorrente) in materia di governo del territorio. 
    Si evidenzia che, ai sensi dell'art. 20, comma 1, del  Codice  «I
beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati
o adibiti ad usi non compatibili con  il  loro  carattere  storico  o
artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione».
D'altro canto, ai sensi degli articoli 4 e 21 del medesimo Codice, la
valutazione circa la compatibilita' degli interventi con i  caratteri
di pregio del bene e' riservata esclusivamente allo Stato, e per esso
al Ministero della cultura. 
    I recuperi volumetrici assentiti con la legge regionale n. 33 del
2007 presentano pertanto una diretta rilevanza ai fini della  tutela,
non essendo prevista l'esclusione  dei  beni  culturali  tutelati  ai
sensi  della  Parte  II  del  Codice  dall'ambito  applicativo  delle
disposizioni regionali. Le previsioni censurate prefigurano quindi  -
in modo generalizzato e avulso dal contesto (stante  la  deroga  agli
strumenti urbanistici) - l'astratta modificabilita' (anche) dei  beni
culturali. Ne'  varrebbe  obiettare  che  per  la  realizzazione  dei
singoli interventi dovrebbe essere richiesta l'autorizzazione di  cui
al richiamato art. 21 del codice, atteso che la previsione  regionale
ingenera  aspettative  edificatorie   ingiustificate   in   capo   ai
proprietari e determina un aggravio  amministrativo  per  gli  uffici
statali (Soprintendenze), chiamati a  esprimersi  su  interventi  che
dovrebbero essere in radice inammissibili in relazione agli  immobili
vincolati. 
    Le novelle invadono percio' la potesta' esclusiva dello Stato  in
materia di tutela dei beni culturali, prevista dall'art. 117, secondo
comma,  lettera  s),  della   Costituzione,   rispetto   alla   quale
costituiscono parametri interposti  gli  articoli  4,  20  e  21  del
Codice. 
    I profili di irragionevolezza e di aggravio amministrativo  sulle
Soprintendenze configurano anche la violazione degli articoli 3 e  97
della Costituzione. 
    Gli interventi di trasformazione  urbanistica  ed  edilizia  sono
collocati al di  fuori  del  necessario  quadro  di  riferimento  che
dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano  paesaggistico,
ai sensi degli articoli  135,  143  e  145  del  Codice  di  settore.
Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato  d'intesa  tra  Stato  e
regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata,  le
c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione  del  vincolo,
volti a  orientare  la  fase  autorizzatoria)  e  di  individuare  la
tipologia delle  trasformazioni  compatibili  e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    La legge regionale in oggetto, dunque, contrasta  con  la  scelta
del  legislatore  statale  di  rimettere   alla   pianificazione   la
disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli)
ai fini dell'autorizzazione degli interventi, come esplicitata  negli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturale  e  del
paesaggio,  costituenti  norme  interposte  rispetto   al   parametro
costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione. 
    Codesta ecc. la Corte ha ribadito che il «principio di prevalenza
della tutela paesaggistica deve essere declinato  nel  senso  che  al
legislatore  regionale  e'  impedito  [...]  adottare  normative  che
deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono
obblighi divieti, ossia con previsioni di tutela  in  senso  stretto»
(sentenza n. 141 del 2021, che richiama le sentenze nn. 29, 54, 74  e
101 del 2021; cfr. anche sentenza n. 251 del 2021). 
    La Corte ha inoltre rimarcato come essa stessa sia  concretamente
«chiamata a verificare se  la  disposizione  impugnata  si  ponga  in
contrasto  con  il  principio  di  prevalenza  della   pianificazione
paesaggistica, o rechi a esso una deroga» (cfr. sentenza n.  141  del
2021). 
    Al riguardo, deve sottolinearsi che nei  casi  in  cui  le  leggi
regionali rechino una disciplina d'uso del territorio,  svolgono  una
funzione pianificatoria che  inevitabilmente  fuoriesce  dai  confini
della materia «governo dal territorio» e, anche laddove  riguardi  il
paesaggio non vincolato, viene a impingere nella materia della tutela
del paesaggio, riservata allo Stato,  la  quale  pone  in  capo  alle
regioni un vero e  proprio  obbligo  (e  non  la  mera  facolta')  di
pianificare  l'intero   territorio   regionale   mediante   i   piani
paesaggistici (art. 135 del Codice). 
    Le regioni pertanto che, in assenza di una specifica disposizione
statale (come avviene per esempio nell'ipotesi del c.d.  piano  casa,
peraltro di carattere eccezionale  e  transitorio),  disciplinano  il
territorio   regionale   mediante   legge   eludono   l'obbligo    di
pianificazione del territorio mediante l'unico strumento  deputato  a
contenere  la  normativa  d'uso  del  territorio,  ossia   il   piano
paesaggistico. 
    Con riferimento ai beni paesaggistici, peraltro,  il  legislatore
statale  inibisce  alle  regioni  di  dettare  in  via  autonoma  una
disciplina   d'uso,   che   e'   riservata   alla    copianificazione
obbligatoria.   In   tale   ipotesi   la    regione,    disciplinando
unilateralmente  il  paesaggio   vincolato,   nonostante   l'avvenuta
approvazione del  piano  paesaggistico,  viene  meno  all'obbligo  di
co-pianificazione, con cio' derogando e ponendosi in contrasto con il
principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica. 
    La  Regione  Puglia  si  sottrae  dunque  ingiustificatamente  al
proprio obbligo di co-pianificazione  del  paesaggio  con  lo  Stato,
esercitando una funzione di  disciplina  del  paesaggio  e  dei  beni
paesaggistici   in   modo   del   tutto   autonomo,   nonostante   la
co-pianificazione costituisca un  principio  inderogabile  posto  dal
Codice (Corte costituzionale n. 251 del 2021). 
    Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la  violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della   Costituzione,
rispetto al quale costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    L'abbassamento del livello della tutela determinato  dalla  legge
regionale in oggetto comporta, inoltre, la violazione anche dell'art.
9 della Costituzione, che sancisce  la  rilevanza  della  tutela  del
paesaggio quale interesse primario e assoluto  (Corte  costituzionale
n. 367 del 2007), per violazione dei parametri interposti  costituiti
dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. 
    E' indubbio che la disciplina derogatoria  operi,  oltre  che  in
relazione ai beni paesaggistici, anche in relazione al paesaggio  non
vincolato, costituente comunque oggetto  di  tutela  ai  sensi  della
Convenzione europea del paesaggio,  sottoscritta  a  Firenze  del  20
ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n.
14, e oggetto anch'esso di co-pianificazione in virtu' dei richiamati
accordi intercorsi tra la Regione Puglia e lo Stato. 
    La  normativa  regionale  pretende  di  estendere  una  normativa
speciale incentivante, applicabile per sua natura agli  edifici  piu'
vetusti, in quanto attuativa dei principi di contenimento del consumo
di suolo e  di  efficientamento  energetico,  agli  edifici  di  piu'
recente  realizzazione,  con   cio'   contravvenendo   al   principio
fondamentale  in  materia  di  governo  del  territorio   -   sotteso
all'intero impianto della legge urbanistica  n.  1150  del  1942,  in
particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n.  765
del 1967 - secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia
e   urbanistica   sono   consentiti   soltanto   nel   quadro   della
pianificazione urbanistica, che esercita una funzione  di  disciplina
degli usi del  territorio  necessaria  e  insostituibile,  in  quanto
idonea a fare sintesi dei  molteplici  interessi,  anche  di  rilievo
costituzionale, che afferiscono  a  ciascun  ambito  territoriale.  E
cio', in assenza di una specifica disposizione statale  che  consenta
alle regioni, cosi' come previsto, per esempio, in  materia  di  c.d.
piano casa, di assentire, predeterminandone casi e limiti, interventi
in deroga agli strumenti urbanistici. In  particolare,  costituiscono
principi fondamentali in materia di governo del  territorio,  che  si
impongono alla potesta' legislativa concorrente spettante in  materia
alle regioni a statuto ordinario, quelli posti dall'art. 41-quinquies
della legge urbanistica 17 agosto 1942, n.  1150;  articolo  aggiunto
dall'art. 17 della legge 6 agosto  1967,  n.  765,  tra  i  quali  il
necessario rispetto  degli  standard  urbanistici.  Non  e'  pertanto
consentito alle regioni introdurre deroghe generalizzate ex lege alla
pianificazione urbanistica e agli  standard  urbanistici  di  cui  al
decreto ministeriale n.  1444  del  1968,  tanto  piu'  laddove  tali
deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una  tale
opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto  la  funzione
propria della pianificazione urbanistica e degli standard  fissati  a
livello  statale,  volti  ad  assicurare   l'ordinato   assetto   del
territorio. 
    Il «recupero» a fini abitativi generalizzato, senza alcun  limite
oggettivo ed esteso ad edifici realizzati nel  2021,  previsto  dalla
norma regionale, e' per forza di cose  destinato  a  stravolgere  gli
standard legati al carico  insediativo  e  alla  densita'  abitativa,
relativi ai fabbisogni delle dotazioni territoriali di un determinato
insediamento e del tutto autonomi rispetto  al  mero  standard  delle
distanze/altezze. 
    Appare evidente infatti che la sommatoria di  «recuperi»  a  fini
abitativi, anche in caso di non incremento di volume fisico (ma  solo
di volumetria urbanistica) o di  superficie  utile,  e'  destinata  a
incidere  sul  livello   sostenibile   di   popolazione   insediabile
compatibile   con   un   certo   tessuto   abitativo    e    percio',
inevitabilmente, sugli standard urbanistici,  intesi  quali  rapporti
fra insediamenti e  spazi  pubblici  o  per  attivita'  di  interesse
generale, e sugli standard  edilizi,  quali  limiti  inderogabili  di
densita' edilizia  (fatta  eccezione  per  le  altezze/distanze,  ove
mantenute ferme), comportandone di fatto la deroga. 
    In nessun caso la disciplina del primo o del secondo piano casa -
per sua natura di stretta interpretazione - consente alle regioni  di
derogare  ai  c.d.  standard  urbanistici  previsti  dalla  normativa
statale,  ma  solamente,  e  solo  temporaneamente,  agli   strumenti
urbanistici. 
    La Corte  costituzionale  ha  rimarcato  la  necessita',  per  il
legislatore regionale, di  rispettare  sempre  e  comunque  i  limiti
fissati dal decreto ministeriale n.  1444  del  1968,  che  trova  il
proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della
legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. sentenza n. 217 del 2020). 
    E' quindi costituzionalmente illegittima una normativa  regionale
volta a introdurre deroghe generalizzate ex lege alla  pianificazione
urbanistica  e  agli  standard  urbanistici   di   cui   al   decreto
ministeriale n. 1444  del  1968,  tanto  piu'  laddove  tali  deroghe
generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale  opzione
normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la  funzione  propria
della pianificazione urbanistica e degli standard fissati  a  livello
statale, volti ad assicurare l'ordinato assetto del territorio. 
    E' inoltre violato anche il principio  di  cui  all'art.  14  del
decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del  2001,  ove  si
prevede  che  la  realizzazione  di   interventi   in   deroga   alla
pianificazione urbanistica puo' essere assentita solo sulla  base  di
una valutazione fatta caso per caso da parte del consiglio  comunale,
sulla base di una ponderazione di interessi riferita alla fattispecie
concreta. 
    Inoltre, poiche' la normativa ha ad oggetto anche edifici oggetto
di  sanatoria,  si  pone  in  contrasto  col  principio   che   vieta
premialita'  edilizie  in  caso  di  immobili  abusivi   oggetto   di
sanatoria, esplicitato nell'Intesa del  2009  sul  c.d.  primo  piano
casa. 
    E'  pertanto  violato  anche  l'art.  117,  terzo  comma,   della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150  del  1942,  come  attuato  mediante  il  decreto
ministeriale n. 1444 del 1968. 
    La disciplina regionale e' inoltre manifestamente  irragionevole,
con violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    La Corte, sia pure con riferimento alle funzioni  assegnate  agli
enti locali all'interno del «sistema della pianificazione», ha  messo
in luce la necessita' di procedere a una «verifica dell'esistenza  di
esigenze  generali  che  possano  ragionevolmente   giustificare   le
disposizioni legislative limitative  delle  funzioni  gia'  assegnate
agli enti locali» attraverso un  giudizio  di  proporzionalita',  che
«deve percio' svolgersi, dapprima,  in  astratto  sulla  legittimita'
dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto
con  riguardo  alla  necessita',  alla  adeguatezza  e  al   corretto
bilanciamento degli interessi coinvolti» (Corte costituzionale n. 119
del 2020). 
    Tale giudizio di proporzionalita' deve necessariamente  svolgersi
non solo qualora sia dedotta la compressione dell'autonomia comunale,
ma anche - a prescindere da tale profilo - laddove sia contestata  la
menomazione  del  principio  dell'ordinato  assetto  del  territorio,
assicurato mediante la pianificazione urbanistica comunale, di cui al
richiamato art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1941. Anche tale
principio, infatti, e' da ritenere derogabile soltanto  ad  opera  di
interventi  finalizzati  alla  tutela   di   interessi   di   rilievo
costituzionale    primario    e,     inoltre,     «quantitativamente,
qualitativamente e temporalmente circoscritti». 
    Le  disposizioni  regionali,  inoltre,  riguardando  edifici   di
recentissima costruzione, non richiedono l'adeguamento ai principi di
contenimento del consumo del suolo e  di  efficientamento  energetico
che stanno alla base della normativa di recupero dei sottotetti o dei
piani interrati. 
    Le previsioni risultano inoltre anche manifestamente arbitrarie e
irragionevoli, nonche' contrarie  al  principio  del  buon  andamento
dell'amministrazione (articoli 3 e 97 della Costituzione).